
Ciao Reader! Sono tornata con un nuovo episodio per la rubrica Pagine in Fotogrammi. Il tema di oggi è la nuova serie tv intitolata Il tatuatore di Auschwitz.
Qualche giorno fa ho pubblicato una storia su Instangram dicendo che avevo finito di vedere la serie TV ispirata a Il tatuatore di Auschwitz e se fossi interessato a un mio articolo dove ne parlavo, esponevo la mia opinione… ed è stato votato in positivo e quindi, eccomi qui.

Introduzione
Il tatuatore di Auschwitz è una serie tv composta da sei episodi, la quale si ispira al libro dal titolo omonimo scritto da Heather Morris.
I protagonisti della storia sono Lali Eisenberg Sokolov, di origine slovacche che racconta, da ormai anziano, la sua deportazione nel campo di Auschwitz II nel 1942, del suo lavoro come tatuatore all’interno del campo e del suo incontro con Gita, della quale si innamora a prima vista e che intende sposare una volta liberi.
Nel 2003 Lali racconta la sua storia a Heather Morris, Capufficio al Clayton Hospital la quale ha l’intenzione di scrivere un libro sulla sua storia.
Questi due sono i personaggi principali del racconto. Con il passare degli episodi ne compaiono altri, fra cui alcuni importanti (a mio parere) come Gita Furmanova la giovane donna slovacca assegnata allo smistamento degli abiti che incontra Lali durante il suo tatuaggio sull’avambraccio e se ne innamora oppure come Stefan Baretzki, guardia delle SS di Auschwitz II e responsabile di Lali.
Il tatuatore di Auschwitz: i personaggi
Sopra ho citato i due personaggi principali dell’opera e altri due che non lo sono, ma personalmente dovrebbero essere considerati come tali.
Un esempio è Stefan Baretzki, guardia delle SS di Auschwitz II e responsabile di Lali è fondamentale in tantissime situazioni; in primis è colui che molteplici volte salva la vita Lali, un esempio è quando un soldato della SS scopre che Lali nasconde qualcosa nei pantaloni (una bottiglia di vodka) e Baretzki si assume tutte le colpe dicendo che è la sua; sicuramente lo fa per un torna conto perché poi lo ricatta chiedendo ulteriori oggetti da poter rivendere.
Un ulteriore esempio sono tutti i favori che l’ufficiale SS fa a Lali e Gita, grazie a lui possono rimanere in contatto, riescono a vedersi, lei riesce a ottenere un lavoro migliore che non sia essere stremata al freddo ore e ore, riesce a curarsi e questo è grazie ai favori di Baretzki, che fa per altri favori in cambio o cioccolate, ma lo fa.
Alla fine della guerra però, quando Lali verrà chiamato per difendere Baretzki scrivendo una lettera per lui, lo accuserà dei crimini commessi in passato, dal massacro alle ingiustizie.
Sicuramente non era stata una grande persona, uccideva o lasciava in vita in base al suo stato emotivo del giorno ed è assolutamente inaccettabile.
Il tatuatore di Auschwitz, non è solo crudeltà, ma una bellissima storia d’amore e di perseveranza fra Lali e Gita.
Non so quanto ci sia di veritiero in tutta la serie TV, degli episodi ed eventi mi sembrano eccessivamente forzati. Noterai delle situazioni quasi surreali della vita umana e terrestre.
Viene fatta vedere la crudeltà che si viveva e che i prigionieri dovevano subire nel campo, di come la loro vita fosse su una roulette russa, ogni giorno il destino lanciava per loro dei dati, ti andava bene e vivevi, ti andava male e morivi, tutto era un mistero, bisognava semplicemente lottare contro la fame, l’ingiustizia e la vita stessa.
Vengono mostrate ingiustizie, soprusi ma alcuni hanno tenuto qualche briciolo di speranza. I deportati non hanno mai spesso di sperare in una salvazione, in un miracolo. Molti sono morti con questa speranza, alcuni non l’hanno mai lasciata e altri invece, l’hanno abbandonata ai cancelli dei campi leggendo la famosa frase Arbeit macht Frei, sapendo per sentito dire o magari perché se l’aspettavano essendo saliti su quei treni ammassati come animali, degli orrori che stavano per incontrare e scoprire.
Arbeit macht Frei: il lavoro rende liberi
Ho voluto dedicare un paragrafo a questa frase per concentrarmi sul suo significato.
Il lavoro rende liberi.
Mette i brividi già solo a pensare cosa hanno potuto vivere quei deportati.
Dentro quei campi c’era tutto tranne la libertà, tutto tranne che un lavoro o situazioni comode.
C’era cattiveria, tanta.
C’era miseria, tanta.
Ma sicuramente non c’era la libertà, solo tanto odio, disprezzo, fame e morte.
Ciò che mi fa più rabbia è che oggi giorno ci stiamo dimenticando di questo massacro degli orrori che hanno vissuto, si sta cominciando a dubitare che tali eventi siano accaduti veramente.
Bisogna ricordare però che non furono solo ebrei a essere deportati (circa sei milioni) ma anche rom (trecentomila persone), disabili (duecentocinquanta mila), omosessuali, testimoni di Geova o semplicemente coloro che erano contro le leggi raziali, un esempio, mio nonno.
Sento molto personale questa storia soprattutto per la mia famiglia. Mio nonno fu deportato in Francia e visse per circa due anni in quelle baracche, non aveva numero e non voleva parlarne mai, chissà cosa avrà mai visto..
Un numero indefinito di persone è stato deportato e un numero indefinito è morto, per freddo, per fame o nelle camere a gas, senza contare dei bambini. Solo un numero veramente irrisorio di bambini si è salvato da quell’inferno.
Bisogna ricordare sempre, affinché non ricapiti in un futuro, ma da ciò che sta succedendo nel mondo, credo che la lezione non l’abbiamo per niente imparata, a partire dai gulag russi dei quale se ne parla troppo poco ai giorni d’oggi, le guerre che colpiscono scuole, ospedali o bambini, agli sfruttamenti lavorativi.
Per concludere: è una serie interessante, diversa dal solito, non mostra solo gli orrori ma anche quel briciolo di speranza che qualche deportato ha tenuto per cercare di salvarsi.
Da guardare assolutamente.